mercoledì 7 maggio 2014

Accabadora - Michela Murgia



Sardegna anni cinquanta.
Fillus de anima. È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell'anima di Bonaria Urrai.
Maria era la quarta figlia della vedova Listru, indesiderata, ignorata. Finchè non viene notata a rubacchiare in una bottega da Bonaria Urrai, vedova prima ancora di potersi sposare con l'uomo che amava, morto in guerra, e senza figli.
Bonaria parla ad Anna Teresa Listru della possibilità di prendere Maria a fill'e anima, accompagnando la richiesta con un'offerta tale che alla vedova di Sisinnio Listru non viene nemmeno la tentazione di dirle di no.
Tzia Bonaria insegna a Maria un mestiere, quello di sarta e la manda a scuola. Ogni tanto Maria torna alla sua famiglia d’origine, in genere quando hanno bisogno di braccia in più. 
Un giorno, mentre aiutano la famiglia Bastìu nella vendemmia, sentono un rumore provenire da sotto il muretto di confine. Scavano e trovano, ancora vivo, un cucciolo di cane. Scoprono così che la famiglia confinante ha spostato il muretto, e il cucciolo di cane sepolto rappresenta una maledizione. Maria decide di tenere il cane e lo chiama Mosè.
Maria viene poi chiamata per i preparativi del matrimonio della sorella Bonacatta. Ma il giorno delle nozze combina un disastro col pane degli sposi e le viene imposto di fingere un malore per non partecipare alla cerimonia. “In tutto questo, c'era di buono che non fu più necessario inventare scuse per non andare ad aiutare sua madre a fare il pane”.
Intanto erano passati quattro anni dal fatto del confine e Nicola Bastìu non capiva come mai suo padre avesse mandato giù la questione senza fare nulla. Decide allora di farsi vendetta da solo e di dare fuoco alle vigne del vicino. Senonchè un colpo di fucile lo lascia sanguinante a terra e in seguito gli viene amputata una gamba. Nicola non resiste in quella situazione e chiede a Bonaria di aiutarlo ma lei rifiuta. 

“credi davvero che il mio compito sia ammazzare chi non ha il coraggio di affrontare le difficoltà?... Se basta una gamba a fare l'uomo, allora ogni tavolo è più uomo di te”

Nicola affronta la sua sofferenza con rabbia crescente, senza volere visite a parte quelle di Bonaria, in cui continua a chiederle di porre fine alle sue sofferenze in modo che sembri morte naturale, altrimenti troverà comunque lui un modo di farla finita. Nicola, alla lunga, colpisce nel segno, perchè le stesse cose le aveva dette Raffaele, il fidanzato di Bonaria, prima di partire per la guerra. 
Maria aveva otto anni quando iniziò a sospettare che Bonaria le nascondesse un segreto, qualcosa che la notte la portava ad uscire furtivamente rispondendo alle chiamate dei compaesani. Non capisce di cosa si tratta fino a quando Andrìa, pieno di rabbia per la morte di Nicola suo fratello, non glielo rivela: Tzia Bonaria è un’accabadora, “colei che finisce”; colei che aiuta il destino, di chi è più tra i morti che tra i vivi, a compiersi.  

“anche io avevo la mia parte da fare, e l'ho fatta”
“e quale parte era?”
“l'ultima. Io sono stata l'ultima madre che alcuni hanno visto”
“per me siete stata la prima, e se mi chiedeste di morire, io non sarei capace di uccidervi solo perchè è quello che volete”
“non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata”

La scoperta di questa verità porta Maria a scappare da Tzia Bonaria e da Soreni, finendo a Torino, a fare la bambinaia. Qui però si troverà vittima della gelosia della bambina più piccola e dovrà lasciare la casa con vergogna. Oltre a questo, i ricordi del paese natio, che pensava di aver lasciato oltremare, tornano a tormentarla. Finchè sua sorella Regina le scrive che Tzia Bonaria ha avuto un ictus e deve tornare al suo capezzale. Pur essendo più di là che di qua, Bonaria sembra non volersene andare, con mesi lunghissimi di sofferenza per entrambe. Maria capisce allora cosa voleva dirle Bonaria, tre anni prima, con la frase “non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo”.

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Bello. Mi è piaciuto molto questo libro. Bella scrittura, con pochi termini in dialetto così la storia non ne risente per chi non li capisce. Avendone letto la trama, temevo di trovarmi di fronte una storia pesante e invece è una bellissima lettura che vede il tema dell'eutanasia come una cosa "normale", in una comunità in cui il gesto non è visto come un omicidio bensì come un estremo gesto d'amore che pone fine alle sofferenze terrene di chi ormai è appeso ad un filo. Fino all'estremo in cui il sofferente è un ragazzo che non si capacita di poter vivere senza una gamba e Bonaria, probabilmente, si lascia convincere ad andare un po' oltre le sue "competenze" perchè rivede in lui il fidanzato che ha perso prima di poter sposare.
Altro tema trattato è quello "dell'adozione" elettiva. I "fill'e anima" acquistano il diritto a diventare eredi in cambio di occuparsi della madre nella vecchiaia. Pochi fronzoli, basta l'accordo tra una madre povera che non riesce ad occuparsi della sua quartogenita e una donna che non ha avuto figli. 
Bonaria e Maria rappresentano l'unione tra il mondo delle tradizioni, in cui una collettività stringe una serie di patti condivisi e ne tiene il segreto, ed il mondo moderno che sembra inorridito da queste tradizioni chiedendosi dove sia il confine tra ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Mio voto: 8 / 10

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